TUTTI DORMONO SULLA COLLINA

Nelle fredde sere di novembre, quando la nebbia aleggia sulla terra ormai
indurita dal gelo, si risvegliano e si librano leggere nell’aria, le anime dei nostri morti; le loro voci, confuse con il sibilo del vento, ci sussurrano all’orecchio frasi e parole che raccontano della loro vita terrena. C’è qualcosa di tragico e, allo stesso tempo, di liberatorio nella morte, poiché ora ciascuno di loro può parlare di se stesso, di quand’era in vita, senza la paura di non essere compreso, senza più nulla da perdere.
E, ascoltando le loro voci, possiamo ricostruire un affresco che racconta la vita di un piccolo nostro borgo agli inizi del Novecento, senza alcuna ipocrisia. Le storie si intrecciano tra loro, frantumandosi in molteplici versioni: ciò che è liberatorio è il fatto che, finalmente, ogni anima può dire ciò che vuole, infischiandosene della morale comune e delle regole sociali.
Tuttavia, anche se liberi di parlare, tutti sono al contempo prigionieri della morte, che serba per loro soltanto la possibilità di continuare a vagare sulla loro terra, a volte accanto a ognuno di noi, in una misteriosa condizione di totale invisibilità…